28 ottobre 2011

Come fermare il pendolo tra rivoluzione e impotenza: Mariella Gramaglia e il "benaltrismo"

Is the pendulum really swinging between reality and utopia? Once again about women, politics and economic crisis in Italy

Mariella Gramaglia sul numero di ottobre di «Reset» riepiloga alcune tappe del controverso rapporto tra le donne e la “politica” in questo paese a partire dal fenomeno SnoqSe non ora quando e la possibilità di dare vita a un “movimento universale a leadership femminile dunque con responsabilità verso la società per intero”. Passaggio cruciale di questo percorso lo sfondamento del muro del “benaltrismo” così come lo ripropone la “voce della radicalità” : “ben altro occorre che un sindacato delle donne! Ben altro che i congedi di paternità obbligatori!. come se l'oscillare del pendolo fra rivoluzione e impotenza non potesse mai avere sosta” sotto l’urgenza di una crisi economica ogni ora che passa più drammatica che rischia di far apparire obsoleti d’un colpo dibattiti e dilemmi ormai riferiti a un mondo che non esiste già più. E prosegue: “Sostenibilità del debito e creazione di nuova occupazione non implicano forse un conflitto fra diversi punti di vista su cui anche le donne si dividono, essendo inevitabilmente diverse?”
Ahimé, ho sentito una vocina interiore che mi ha chiamata in causa come umile formichina del benaltrismo, che forse ho (inconsapevolmente? Pensavo in verità di stare facendo altro) praticato, anche da questi schermi.
Non penso che congedi di paternità obbligatori siano inutili, che pensare a un welfare decente sia senza valore per tutt* (sul sindacato avrei forse bisogno di capire meglio di che cosa stiamo parlando…). Penso che ci siano battaglie comuni molto pratiche e molto urgenti su cui anche donne diverse potrebbero convergere per arginare lo spaventoso progetto di dominio e violenza economica veicolato dalla crisi. Penso che l’operazione potrebbe riuscire ed essere fruttuosa non per la leader ship politica di questa o quell’altra ma per la con-vivenza in questo paese a due condizioni, a mio parere irrinunciabili:
- prima: smettere di usare il “realitismo” (conio anche io il mio neologismo= appello ad una accettazione della immodificabile realtà dei rapporti sociali con l’obiettivo di escludere a priori l’efficacia e l’importanza di qualunque progetto alternativo e con il risultato di celare i reali rapporti di potere ad essa sottesi ) per squalificare ogni tentativo di immaginare una attività e una esistenza al di fuori delle condizioni date. Se devo essere sincera, non mi pare che il pericolo più pressante sia quello, paventato da Gramaglia, che la crisi economica ci induca a disprezzare obiettivi pratici immediati, ma anzi piuttosto l’opposto, quello di cancellare ogni orizzonte più radicale in nome appunto del “realitismo”;
- seconda: sì, le donne sono diverse tra loro e hanno orizzonti diversi, diverse analisi di quel che sta succedendo, diversi progetti politici. Lo abbiamo scoperto e storicamente indagato quando ci siamo occupate del loro impegno nella Resistenza e del loro ingresso sulla scena pubblica dopo il diritto di voto (rivendicando che avvenisse in nome di una precisa scelta politica e non per maternage “naturale”verso mariti/padri/fratelli in essa già impegnati) ma ancora mi pare un tabù. Esiste la possibilità di costruire forme di trasversalità intelligenti a partire dal pieno riconoscimento franco e sincero dell’esistenza di differenze politiche anche fra le “portatrici di vagina” che non può essere vissuto come una diminuzione e un tradimento nei confronti del riconoscimento di una autonoma soggettività femminile.

Paola

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