4 maggio 2012

Garofani rossi e mazzetti pesti di mughetto

Reduce dall'ennesismo, estenuante e per di più inutile confronto con il mio capo sull'annosa questione del lavoro, nonchè dei "giovani" nel lavoro, lo sconforto è tale da doverlo condividere.
Io un lavoro ce l'ho, anche se a termine.
Sapere che potrai pagare l'affitto fino ad una certa data e poi non si sa è destabilizzante; sapere che questo lavoro finirà con certezza, nonostante tutto, dà sollievo.
È strano, anche un po' schizofrenico, questo atteggiamento che permette di immaginare mondi possibili e schiantarsi contro il muro della dura realtà come se niente fosse. Eppure questa è una costante del lavoro dei "giovani" nel lavoro, mi pare.
E invece no. Pare che il punto non sia questo.


La lezioncina di oggi, propinata con la protervia tipica del "lupo sazio", dispiega scenari nuovi.
Il lavoro - quello gratificante, quello per cui ti sei preparato e magari avresti sperato di viverci - ci sarebbe, c'è anzi (?), ma "voi giovani non vi sapete muovere. Avete pretese di carriera e non capite che l'algerino arrivato con il barcone vi farà le scarpe. Bisogna essere umili e farsi notare. Invece voi non siete abituati al sacricifio. Se dovessi dare un consiglio, direi di vivere una settimana con la famiglia algerina, così da capire il sacrificio e imparare la determinazione".
L'assurdità di tali affermazioni - gratuite e qualunquistiche, non solo perchè l'Italia non è mai stata terra d'elezione per  profughi e/o migranti algerini - provoca emicrania e bruciori di stomaco. Scatena la rabbia, gettandoti nel panico perchè ti scopri impotente di fronte a chi alimenta il sistema per come lo conosciamo e subiamo.


Mi ero solo permessa, interrogata al riguardo, di far notare quanto fosse inappropriato di questi tempi commissionare un lavoro ad un ultrasettantenne pensionato invece che ad un giovane.
Stiamo parlando di massimi sistemi, dice lui. E no, dico io.
Ho opposto resistenza, chiarendo che noi, i cosidetti giovani, il sacrificio lo sappiamo cos'è. Che io, figlia di migranti, conosco il sacrificio e ho imparato la determinazione, nonchè il rispetto del lavoro, in qualunque forma esso si manifesta, quando c'è e quando non c'è. Cosa quest'ultima che i "lupi sazi" non impareranno mai.
Avrei potuto aggiungere tante cose, tipo che gli sproloqui sui "massimi sistemi", per alcuni sono lame taglienti che ti affettano parola dopo parola.
Ma poi ho mollato. Ci sono dialoghi possibili ed altri impossibili, poichè in tutta evidenza non è saltato soltanto il patto tra le generazioni, ma un intero codice di comunicazione.
Solo allora ho realizzato che allo scorso Primo maggio non ho preso il solito garofano rosso, non ne ho visti. Forse erano terminati. C'erano in compenso coccardine tricolore a 5 euro, decisamente troppo care. E mi sono ricordata di un'amica francese il cui padre per il Primo maggio inviava mazzettini di mughetto (in Francia si usa così) ai fratelli emigrati in Canada. I mazzetti arrivavano inevitabilmente pesti, ma arrivavano puntuali.
Voglio ancora credere che seppure pesti arriveremo alla meta anche noi. Una meta semplice, quella di una vita degna e di un lavoro dignitoso.
Maria Grazia

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