3 marzo 2012

una storia che NOn cenTrAVa niente ovvero un racconto calcistico

Il pezzo che segue non parla delle pseudo analisi faziose sulla violenza dei manifestanti No Tav, non è una presa di posizione contro le politiche che da più di vent'anni ignorano le legittime e documentate rivendicazioni del popolo della Val di Susa e non è una critica molto sottile alla recensione trasudante ignoranza di Roberto Saviano dal titolo “Elogio dei riformisti”. 

Non ci stancheremo
noi - finché esiste passione! - 
...
Larghe spiegatevi
ali! - nel limo,
nella schiuma - come nel broccato!
Il pedaggio del ponte
oggi non pagherò!
(Marina Cvetaeva)

Nel lontano eppure esistito non-ancora-duemila sono andata a vedere la Roma che giocava contro l’Inter a San Siro. Sto parlando di calcio. 
A partita finita - superfluo ai fini del mio racconto raccontare i come e i perché - i tifosi romanisti si agitano. Prima un po’, poi un po’ di più. 
La risposta geniale delle forze dell’ordine è quella di caricare sia dall'alto che dal basso: un bel sandwich con due fette di pane blu e il condimento giallo-rosso. 
Io sono proprio al centro delle gradinate, prendo per mano P. e lo trascino fuori dai due argini del mar rosso che stanno per richiudersi su di noi. 
Arrivati all'uscita mi trovo davanti un carabiniere, che mi blocca dicendomi che non posso passare, ha la mitraglietta d’ordinanza puntata a un centimetro da me, all'altezza dello sterno. Lo guardo tra il basito e l’incazzato e gli urlo che non sarà certo lui a farmi fare la fine del topo. Non si muove, mi guarda tra il basito e lo scocciato. Afferro la canna della mitraglietta e la sposto con rabbia da un lato, ripetendogli che lui DEVE farmi uscire. A quel punto si gira verso il collega dietro di lui, gli dice (gli ordina?) di farmi passare e si sposta quel tanto che basta a far spazio al mio corpo, non a quello di P. che viene fermato dalla mitraglietta puntata di cui sopra. È una frazione di secondo, mi accorgo che P. non è alle mie spalle, mi rigiro, scanso il carabiniere, prendo P. per mano e guardando negli occhi il rappresentante delle forze dell’ordine gli dico, tra il furente e il furioso: “E lui viene con me!”. Non mi risponde niente, ma ci lascia andar via. 
Ora, in quei momenti io guardavo in faccia un uomo la cui soggettività era annegata tra le fibre di una divisa. Per me, in quel momento, quell'uomo senza nome era un grandioso bastardo che per obbedire a degli ordini dementi non stava esitando a lasciarmi in una situazione evidentemente pericolosa dalla quale volevo sottrarmi. Io ero arrivata davanti a quel carabiniere convinta che mi avrebbe fatto passare senza pensarci un secondo, “andavo in pace”, ma per lui non c’era spazio per le eccezioni, perché non era lui a decidere. 
Quello che però mi preme sottolineare - un dato ignorato che a volte diventa un sottinteso, un sottinteso che diventa un taciuto, un taciuto che diventa malafede - è che anche per lui io non ero io, non avevo una storia se non quella di pischella romanista che si merita le conseguenze del casino generato dai suoi compari. 
Ma le nostre due non-soggettività non erano paritarie, tra loro scorreva una differenza enorme: un’arma da fuoco che toccava il mio corpo. 
Io, quel giorno, ho chiesto al carabiniere, a un carabiniere, di farmi uscire da uno stadio perché non volevo ritrovarmi schiacciata tra due ali di corpi umani infuriati, lui all'inizio me lo ha impedito e poiché avevo ragione, e sapevo di aver ragione, la mia rabbia, il fatto che gli ho urlato in faccia, che ho scansato con le mani la mitraglietta, che sono tornata indietro a prendere P. erano tutte reazioni legittime e legittimate da quella impossibilità di fare eccezioni che mi rendeva carne da macello. 
Se non avessi reagito non mi avrebbe fatto passare, e questo racconto calcistico sarebbe un altro racconto; se non mi avesse fatto passare non so come avrei reagito, e questo racconto calcistico sarebbe un altro racconto.


Valentina

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