6 aprile 2011

Il nostro tempo è adesso - la vita non aspetta - Tutte/i in piazza il 9 aprile

The elephant in the room. There's no capitalism with a human face. It is necessary a new welfare state, it is necessary a basic income: NOW.

E’ vero che la vita non aspetta: ve lo può dire chi appartiene alla prima generazione di precari a vita, e arrivata sulla soglia della mezza età con prole assume pienamente (formulazione elegante per dire che ci sbatte il naso) che la sua condizione si è fatta permanente e non ha più tempo di modificarla. Perché se non cambia radicalmente la concezione dello Stato sociale, in direzione di un reddito di esistenza, anche uscire dalla precarietà lavorativa a più di quarant'anni – ancorché augurabile, intendiamoci – non mi restituirebbe la vita passata, la casa più adatta e dignitosa cui no non ho avuto accesso perché non potevo accendere un mutuo di un certo tipo o avere un contratto d’affitto migliore, una futura pensione cui non potrei comunque avere diritto perché, appunto, non c’è più tempo.

Non è solo questa la “generazione precaria”: ormai se ne accumulano diverse; ora semplicemente le condizioni mondiali sempre più difficili hanno spogliato definitivamente il re dei panni luccicanti di fondi di bottiglia che vestiva quando tutti saremmo diventati “liberi professionisti”, votati al successo e alla ricchezza. Lo sapevamo che era una bugia colossale: eppure le nostre grida di dolore si sono levate per quasi vent’anni nel silenzio assordante della politica. E’ che credere ottusamente alla crescita infinita della ricchezza e della disponibilità di merci, gadget, opportunità, diciamocelo, era consolatorio e gratificante per tutti: sì, le relazioni sociali si degradavano, l’ambiente attorno a noi era sopraffatto, le ingiustizie crescevano, ma il progresso avrebbe sistemato tutto, e il progresso, per definizione, non può essere fermato.

Bene scendere in piazza, finalmente, portarci i nostri corpi, pesanti esigenti e difettati, di uomini e donne che hanno bisogno di essere nutriti alcune volte al giorno, di essere curati quando si acciaccano, di essere accuditi nelle varie fasi della vita: tutte cose che ci hanno insegnato a trascurare per diventare più efficaci ingranaggi della macchina lanciata alla massima velocità. Noi siamo gli effetti collaterali del “turbo capitalismo”, esternalità, costi non rendicontabili. Al massimo grado le donne, che sono più difficili da ridurre al virtuale per l’accidente evoluzionistico che dà loro la possibilità (non il dovere) di partorire nuovi esseri umani. E’ vero che il nostro paese sconta una situazione peggiore e più disperata di altri per tante cose che sappiamo benissimo: ma non facciamoci troppe illusioni. Guardiamoci dietro le spalle, per non perdere la memoria storica di quello che ci ha appena preceduti, guardiamoci attorno, per capire che la crisi è globale e senza ritorno. Diversamente, sarà davvero difficile affrontare quello che ci aspetta con qualcosa di più che una confusa, irrealistica aspettativa di una giustizia che non arriverà.

Paola

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