E mi é tornata in mente queste storia.
Avevo 17 anni,
frequentavo un collettivo politico nel paesello in cui sono nata (che
poi è una orrenda/stupenda città della Sicilia, anche se, come mi ha insegnato
mio padre, io dico sempre che è del Nord Africa), un giorno i maschi
consapevoli del collettivo organizzarono un dibattito sull'aborto, durante il
dibattito mi alzai e uscii dalla stanza, non mi piaceva il modo in cui stavano
"cosificando" (sic! ipsa dixit) il - anche mio - corpo di donna,
perché quel linguaggio pizzicava le corde delle mie piccole riflessioni sulla
pratica medica e il controllo del corpo.
Uscii dalla stanza senza dir niente perché
lì dentro mi sembravano tutti così uniti e concordi e perfettamente a proprio
agio con l’ipotesi delle loro intelligenze e questo (allora) mi intimidiva.
Finito l’incontro, l'intellettualeader del collettivo disse a voce alta e
incazzata che non era pratica politica buona e giusta alzarsi e farsi i cazzi
propri mentre c'era un dibattito. Alla mia risposta continuò ad essere incazzato,
io feci la faccia stronza (abilità che ho affinato col passare degli anni fino
a diventare così brava da potermi fregiare del titolo di “Madre di tutte le
Stronze”) e me ne andai con la mia motoretta.
La sera, sfogai la mia rabbia per l'atteggiamento dell'int.lead. parlando al telefono con
l'allora fidanzato studente-lontano-ma-sempre-membro-a-distanza-del-collettivo. Il fidanzato c'aveva l'intelligenza femminista e comprese, ma fece
una cosa da maschio (un colpo al cerchio e uno alla botte...): telefonò
all'int.lead. e gli fece il cazziatone.
Ebbene, l'indomani l'int.lead. mi chiese scusa - pausa di riflessione, contate fino a dieci - scuse che peggiorarono la situazione, vista la fonte della sua autocritica.
Poi me ne sono andata, definitivamente.
Valentina
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