23 ottobre 2011

É una vecchia storia, serve un po' di storia o della necessità di ricordarsi di Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft.

Ripesco una vecchia lezione fatta all'Università di Venezia, riducendola all'essenziale. 
Lo faccio per un motivo ben preciso. Mi auguro che leggendo tale motivo si palesi nella sua evidenza. 
Uno dei dati emersi dalle tante cose che ho letto sulla presenza femminile alla manifestazione del 15 ottobre é l’immensa e colpevole ignoranza di molti di quelli che si riconoscono e a cui viene riconosciuta l’autorevolezza del commentatore (esemplare, a proposito, l’articolo di Corrado Zunino apparso su La Repubblica il 19 ottobre).
Sembrava si parlasse ‘solo’ di violenza, in realtà si parlava di diritto dei corpi, di certi corpi, a occupare lo spazio pubblico e di cittadinanza.

L'Ottocento si apre con un evento rivoluzionario di portata epocale: la Rivoluzione francese.
La Rivoluzione apre uno squarcio nella storia all’interno del quale le donne troveranno uno spazio inedito, in cui si sentiranno finalmente autorizzate a intraprendere azioni collettive, a incontrarsi e a riunirsi al di fuori dei luoghi privati, a occupare lo spazio pubblico, ad agire e reagire all'interno di esso.
In questo spazio esse iniziano a riconoscersi e a essere riconosciute come corpi politici.
É dalla Rivoluzione francese che nasce la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, universalmente riconosciuta come madre (o forse sarebbe il caso di dire padre) dei moderni diritti alla libertà e all'uguaglianza.
In quegli anni si avvia la costruzione concreta e non lineare del modello di cittadinanza che ha attraversato l'Occidente europeo per più di 200 anni, modello che ha a lungo escluso le donne.
La riflessione critica delle donne del tempo mette da subito in luce la connotazione sessuata dei principi su cui si fonda e si traduce il principio astratto dell'universalismo dei diritti.
Due testi - veri e propri prototipi  delle rivendicazioni dei diritti da parte delle donne - ci permettono di cogliere le linee fondative del rapporto tra donne, sfera pubblica e cittadinanza: la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne scritta da Olympe de Gouges nel 1791 e la Vindication of the rights of woman scritta da Mary Wollstonecraft nel 1792.
Va subito sottolineato che sia de Gouges che Wollstonecraft reclamano una compresenza dei due sessi sul terreno politico, compresenza, fondata sul fatto che l'essere maschi o femmine non può giustificare l'esclusione dal potere politico e dalla cittadinanza sociale.
La Dichiarazione dei diritti della donna, riscritta da una donna, reclama la parità politica e sociale di uomini e donne e un'uguale dignità per tutti e due i sessi; Mary Wollstonecraft, nella dedica a Tayllerand della sua Vindication, rivendica i diritti della donna perché ella possa esercitarli insieme all’uomo.
Al contrario, il riferimento a una presunta differenza sessuale nei discorsi degli uomini sarà fatta sempre a scapito delle donne, di cui verrà ribadita l'appartenenza al privato e l'estraneità al governo della cosa pubblica.
Gli uomini sono per natura adatti alla vita pubblica, mentre le donne, se si mischiano agli affari pubblici vengono meno alle funzioni loro assegnate dalla natura.
É in questo postulato che risiede l’esclusione delle donne dal regno della cittadinanza: le donne non possono partecipare attivamente alla vita politica della nazione, non perché astrattamente incapaci, ma in quanto 'per natura' destinate alla sfera familiare e privata, per la quale posseggono virtù specifiche.
L'appello a una natura femminile intrinsecamente separata da quella maschile è uno egli elementi su cui poggia la costruzione rivoluzionaria della cittadinanza.
Il ruolo di moglie e quello di madre costituiscono per i padri teorici della cittadinanza, ma anche per costruttori rivoluzionari di essa, la causa dell'impossibilità delle donne di essere cittadine.
Questa enfasi sulla sfera familiare come luogo della cura è essenziale alla definizione della sfera pubblica come luogo del potere.
In effetti è proprio nell'opposizione all'elemento femminile che sembra definirsi la nozione di cittadinanza.
I rivoluzionari vogliono cambiare l'ordine delle cose, ma non invertire un supposto ordine dicotomico della natura cui non cessano di fare riferimento.
Il moderno concetto di democrazia e la moderna definizione dell'esclusione femminile da essa, sono così uniti che il fondatore del primo è anche uno dei principali autori della seconda, oltre che del modello culturale della "buona madre" (Rossi-Doria, 1993, p. 87).
Sto parlando, ça va sans dire, di Rousseau, che ha codificato l'inferiorità di uno dei due sessi, quasi fosse necessario ribadire la subordinazione femminile proprio nel momento in cui l'universalismo illuminista sembrava poterla mettere in discussione.
I criteri formulati da Rousseau sono essenzialmente tre: differenza tra le funzioni che i due sessi possono e devono svolgere; esclusione delle donne dalla sfera della libera scelta morale; iscrizione della vita femminile in un tempo non storico, ma biologico, legato al loro essere custodi della specie.
La rivendicazione del diritto di accesso alla sfera pubblica, e in particolare a quel regno della politica che, fin dai tempi di Aristotele, era stato definito sulla base della loro esclusione, ha provocato (e provoca) una così tenace resistenza per un motivo fondamentale: l'esclusione delle donne dalla sfera pubblica è legata intrinsecamente alla loro soggezione nella sfera privata.
Per questo anche il solo diritto di voto fu negato alle donne per oltre un secolo e mezzo.
Per questo, la loro elaborazione teorica in difesa di quel diritto andò necessariamente ben al di là di esso.

Valentina

Bibliografia di riferimento
Gabriella Bonacchi, Angela Groppi, a c. di, Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Roma-Bari, Laterza, 1993.
Anna Rossi-Doria, La libertà politica delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Torino, Rosenberg & Sellier, 1990.

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