Imagining
the future means to change the present
An
alternative economy for a better life – part 3
Completo la serie dei post dedicati alla ricerca Una diversa economia. Storie e vite di donne che praticano alternative allo sviluppo" (qui il primo e il secondo pubblicati precedentemente ).
Nelle testimonianze che ho raccolto, l'esercizio di
immaginare un futuro diverso non è materiale per costruire una bella teoria,
diventa pratica di vita quotidiana di cui si accettano gli intoppi, gli errori,
le fatiche. L'obiettivo è promuovere un cambiamento concreto in cui ciascuno
possa riconoscersi e ritrovarsi coi propri ritmi e le proprie priorità,
piuttosto che doversi uniformare a un dover essere che non si misura con le
singole vite di uomini e donne con tutte le loro contraddizioni. “(…) vengono anche persone che vorrebbero, ma che
timidamente... si pongono tanti problemi, ci hanno detto che non si può fare...
ma si, no, però... No, fallo! Fallo e punto. Poi fallo a misura tua, a misura
del tuo territorio, a misura delle esigenze delle persone che vivranno con te,
non c'è un modello unico; è questo il punto: la ricetta non esiste, è diverso
dal modello dominante anche per questo, perché metodologicamente non è
replicabile” (Isabella)
L'orizzonte del cambiamento non è un comandamento ideologico
dato una volta per tutte; deve essere conquistato sul campo, sottoposto a
infinite e continue verifiche, emerge
la consapevolezza che l’aggravarsi della crisi
potrebbe accelerarne i tempi e travolgere la speranza di che esso possa
avvenire dolcemente e gradualmente.
L’accento è sulla necessità
di cominciare a praticare, qui o ora, la transizione, per poterla davvero immaginare
possibile ed esplorare in tutte le sue complesse implicazioni : “Però
il tema della transizione è il tema centrale, cioè del come facciamo il
passaggio e del come, appunto, sostituiamo un modello con l'altro... io... qui
si potrebbero prendere a prestito tantissime visioni, ipotesi, dalla biologia
all'antropologia, insomma, ci sono tante teorie di come... come cambiano le
culture? Come si passano da un sentiero all'altro della storia? Abbiamo mille
scuole diverse... per contaminazione? per evoluzione? (…)
C'è un elemento di osmosi, osmotico tra due modelli che convivranno per sempre
e in realtà non c'è il tema della sostituzione ma semplicemente di una
convivenza e di una lenta riproduzione di qualcos'altro che è già qui e quindi
alberga necessariamente nel capitalismo più feroce... è tutto molto...
teoricamente sicuramente molto interessante, nella pratica, a cui io mi dedico
con più passione, perché poi le cose bisogna cominciare a farle dal basso”
(Debora)
Il
punto di partenza è sempre una profonda insoddisfazione personale e interiore
rispetto al proprio lavoro, alla propria vita precedente. Una per tutte dice,
semplicemente e lapidariamente: “non ero io”. E’ vero, nel tempo della crisi
più feroce può apparire un lusso questa aspirazione ad una autenticità senza
compromessi, può avere il sapore di una utopia per pochi privilegiati o di un
sogno per ingenui idealisti, ma nelle parole di queste donne è molto chiaro che
non è così: cambiare i propri stili di vita non è fuggire dalla realtà,
chiamarsi fuori ma “è rientrare nel mondo, è
proprio rientrare, perché per me la cosa illusoria e folle è vivere a Roma in
questo momento, siete pazzi, perché vivete
a Roma? Come vi viene in mente? E' folle, è completamente folle... appunto,
vivere a Roma, a Milano, a Londra, a Parigi, pagare un'insalata cinque euro...
siete pazzi! Non... è proprio il contrario, infatti il problema è che tutto è
ribaltato, è come nella macchinetta fotografica il banco ottico, è tutto visto
al contrario... (Isabella).
Le
donne si sentono protagoniste di questo cambiamento, realizzato e possibile, ma
con grande lucidità, senza pensare che “magari, perché femmine,
portatrici di ovaie e di un utero che potenzialmente dà la vita, le donne
fossero perché donne capaci di doti magiche, evidentemente, di tutela e cura
positiva e salvifica trasformazione. Non è così ed è ovvio. E' terribile,
sarebbe tutto più semplice, non saremmo qui, ma non è così (…)
E così allo stesso modo il rischio è di banalizzare e di pensare che le donne
in quanto donne siano più propense a conservare in maniera pacifica il
benessere e l'equilibrio ambientale è una fantasia, che a volte possiamo
cullare quando siamo molto stanche, ma capiamo molto bene che non è così”
(Monica)
Le donne sono presenti perché “non voglio usare degli stereotipi o cose del genere, ma ci sono dei margini
per poter proprio sperimentare, vedere dove si può arrivare senza... libere da fatiche, fardelli o dal dover comunque corrispondere a
una certa idea, a una certa immagine più o meno reale o costruita, qualunque
essa sia..” (Paola).
Le donne infine – penso anche dal movimento femminista
–hanno imparato che “se
vogliamo veramente andare avanti e se vogliamo essere sostenibili nel tempo, il
lavoro da fare più forte e importante da fare è su se stessi”(Isabella).
Paola
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