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14 marzo 2013

Tempi duri e complicati: su grillismo e decrescita

Viviamo tempi duri e complicati e a volte accade di tacere, per riprendere fiato.
Seguo con interesse un filino morboso la discussione in rete sul sucesso del MoVimento 5 stelle, sulla sua natura e le sue gesta. Tra le altre, trovo particolarmente interessanti le analisi di WuMing e di Ida Dominjanni e quelle di Giuliano Santoro (autore de Un grillo qualunque).
Molte volte sono stata sul punto di rimettere il dito sulla tastiera per questo blog ma qualcosa sino a stamani mi ha sempre bloccata, non so dire esattamente perché. In un'epoca dal gusto così tranchant mettersi a precisare e distinguere mi pareva soltanto tentare di vuotare il mare con un cucchiaino, e francamente, forse ci sono modi migliori con cui mettere a frutto la propria fugace permanenza in questa valle di lacrime (habemus papam!).
Ma perdere il vizio è dura, e rispetto al supposto endorsement di Serge Latouche per Grillo, e la discussione che si è successivamente scatenata sul rapporto tra il MoVimento e la Decrescita, come non precisare:

- che esistono diverse declinazioni del concetto di decrescita. Quella più interessante - a mio parere - è la proposizione di una teoria economica di chiare radici marxiane, che supera alcune analisi del marxismo nel senso di includere nei fattori di produzione i limiti della biosfera (la natura, l'ambiente, non considerati come limitati -anzi, spesso non considerati tout court- né dalgi economisti classici né da quelli marxisti). La loro inclusione in una teoria economica farebbe emergere nuove, dirompenti e difficilmente risolvibili contraddizioni nello sviluppo capitalistico. In Italia, ne ha scritto un economista come Mauro Bonaiuti (autore de Obiettivo Decrescita).

- che nel mondo anglosassone, esiste poi un interessante filone di riflessione eco-femminista, anche qui di chiara e dichiarata ispirazione marxista, che accosta la negazione dell'apporto essenziale del lavoro femminile alla ripruduzione delle condizioni di vita necessarie a loro volta alla produzione capitalistica alla negazione dell'apporto delle risorse naturali al processi di produzione nel senso del punto precedente. La maggiore esponente di questo eco-femminismo di ispirazione marxista, piuttosto negletto in Italia dove queste analisi hanno avuto scarsa fortuna perchè dafli anni ottanta in poi la riflessione si è concentrata sul simbolico e sulla filosofia della differenza sessuale saltando a più pari un'analisi di stampo più "materialistico", è Mary Mellor. Ne abbiamo parlato spesso su questo blog, in numerossismi post che potrete rintracciare, tra cui questo.

- che ci sono profonde differenze tra le opere paternalistico/divulgative di Maurizio Pallante, di scarso se non nullo spessore teorico, e la riflessione di Serge Latouche, che è comunque un economista di formazione solidamente marxista e terzomondista, che ha vissuto molti anni in Africa e ha iniziato da lì la sua produzione intellettuale riflettendo sui guasti del colonialismo e dei cosìddetti paesi in via di sviluppo. Gli scritti di Pallante presentano in effetti una miscela piuttosto riuscita di divulgazione accessibile, fai da te antintellettualista, semplificazione teorica che occulta il conflitto: posso immaginare siano graditi a molti 5stelle, non è difficile stiracchiarli in direzioni anche opposte e comunque bypassano a pié pari una seria critica politica alla fase attuale del capitalismo.

La pochezza e vaghezza della produzione di Pallante, come le altrettanto vaghe simpatie grilline per una  indetereminata  "decrescita" a mio parere non sono sufficienti a bollare tutta la teoria come "di destra" e per "borghesi occidentali" e non possono essere usate come termometro della plausibilità ideologica di un dibattito complesso e a mio parere molto più ricco di così.

Ecco, ho svuotato la mia basca da bagno. Un buon vaffa a tutti.
Paola

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8 ottobre 2012

Un'economia "differente" per una buona vita. Immaginare un futuro possibile è cambiare il presente



Imagining the future means to change the present
An alternative economy for a better life – part 3


Completo la serie dei post dedicati alla ricerca Una diversa economia. Storie e vite di donne che praticano alternative allo sviluppo" (qui il primo e il secondo pubblicati precedentemente ).

Nelle testimonianze che ho raccolto, l'esercizio di immaginare un futuro diverso non è materiale per costruire una bella teoria, diventa pratica di vita quotidiana di cui si accettano gli intoppi, gli errori, le fatiche. L'obiettivo è promuovere un cambiamento concreto in cui ciascuno possa riconoscersi e ritrovarsi coi propri ritmi e le proprie priorità, piuttosto che doversi uniformare a un dover essere che non si misura con le singole vite di uomini e donne con tutte le loro contraddizioni. “()  vengono anche persone che vorrebbero, ma che timidamente... si pongono tanti problemi, ci hanno detto che non si può fare... ma si, no, però... No, fallo! Fallo e punto. Poi fallo a misura tua, a misura del tuo territorio, a misura delle esigenze delle persone che vivranno con te, non c'è un modello unico; è questo il punto: la ricetta non esiste, è diverso dal modello dominante anche per questo, perché metodologicamente non è replicabile” (Isabella)
L'orizzonte del cambiamento non è un comandamento ideologico dato una volta per tutte; deve essere conquistato sul campo, sottoposto a infinite e continue verifiche, emerge la consapevolezza che laggravarsi della crisi potrebbe accelerarne i tempi e travolgere la speranza di che esso possa avvenire dolcemente e gradualmente.
Laccento è sulla necessità di cominciare a praticare, qui o ora, la transizione, per poterla davvero immaginare possibile ed esplorare in tutte le sue complesse implicazioni : Però il tema della transizione è il tema centrale, cioè del come facciamo il passaggio e del come, appunto, sostituiamo un modello con l'altro... io... qui si potrebbero prendere a prestito tantissime visioni, ipotesi, dalla biologia all'antropologia, insomma, ci sono tante teorie di come... come cambiano le culture? Come si passano da un sentiero all'altro della storia? Abbiamo mille scuole diverse... per contaminazione? per evoluzione? () C'è un elemento di osmosi, osmotico tra due modelli che convivranno per sempre e in realtà non c'è il tema della sostituzione ma semplicemente di una convivenza e di una lenta riproduzione di qualcos'altro che è già qui e quindi alberga necessariamente nel capitalismo più feroce... è tutto molto... teoricamente sicuramente molto interessante, nella pratica, a cui io mi dedico con più passione, perché poi le cose bisogna cominciare a farle dal basso (Debora)

Il punto di partenza è sempre una profonda insoddisfazione personale e interiore rispetto al proprio lavoro, alla propria vita precedente. Una per tutte dice, semplicemente e lapidariamente: non ero io.  E vero, nel tempo della crisi più feroce può apparire un lusso questa aspirazione ad una autenticità senza compromessi, può avere il sapore di una utopia per pochi privilegiati o di un sogno per ingenui idealisti, ma nelle parole di queste donne è molto chiaro che non è così: cambiare i propri stili di vita non è fuggire dalla realtà, chiamarsi fuori ma è rientrare nel mondo, è proprio rientrare, perché per me la cosa illusoria e folle è vivere a Roma in questo momento, siete pazzi, perché vivete  a Roma? Come vi viene in mente? E' folle, è completamente folle... appunto, vivere a Roma, a Milano, a Londra, a Parigi, pagare un'insalata cinque euro... siete pazzi! Non... è proprio il contrario, infatti il problema è che tutto è ribaltato, è come nella macchinetta fotografica il banco ottico, è tutto visto al  contrario... (Isabella).

Le donne si sentono protagoniste di questo cambiamento, realizzato e possibile, ma con grande lucidità, senza pensare che magari, perché femmine, portatrici di ovaie e di un utero che potenzialmente dà la vita, le donne fossero perché donne capaci di doti magiche, evidentemente, di tutela e cura positiva e salvifica trasformazione. Non è così ed è ovvio. E' terribile, sarebbe tutto più semplice, non saremmo qui, ma non è così () E così allo stesso modo il rischio è di banalizzare e di pensare che le donne in quanto donne siano più propense a conservare in maniera pacifica il benessere e l'equilibrio ambientale è una fantasia, che a volte possiamo cullare quando siamo molto stanche, ma capiamo molto bene che non è così (Monica)
Le donne sono presenti perché non voglio usare degli stereotipi o cose del genere, ma ci sono dei margini per poter proprio sperimentare, vedere dove si può arrivare senza...  libere da fatiche,  fardelli o dal dover comunque corrispondere a una certa idea, a una certa immagine più o meno reale o costruita, qualunque essa sia..” (Paola).
Le donne infine – penso anche dal movimento femminista –hanno imparato che “se vogliamo veramente andare avanti e se vogliamo essere sostenibili nel tempo, il lavoro da fare più forte e importante da fare è su se stessi(Isabella).



Paola




29 febbraio 2012

Mary Mellor e la "domanda della Regina"

Mary Mellor: bringing Economics down to Earth

Mary Mellor, eco femminista studiosa di scienze economiche, risponde in questo ottimo intervento di poche settimane fa alla famosa domanda della Regina “perché gli economisti non hanno previsto tutto questo?”.
Nella risposta di Mellor tutto il danno che un’economia disincarnata e astratta ha potuto e può invece molto concretamente fare al mondo reale. Un’economia che si è voluta “scienza esatta” inventando non solo il proprio linguaggio, ma anche le proprie unità di misura e il suo oggetto fuori dalla storia umana dove non hanno cittadinanza i corpi sessuati e incarnati di uomini e donne.
Il senso comune (vs il buon senso…) pretende che l’economia si occupi di soldi, ovvero la cosa più concreta, reale e importante che ci sia. L’economia, come la matematica, non è un opinione, ma una realtà data e imprescindibile. Mellor dimostra come essa sia per lo più una pura invenzione astratta, una pura invenzione che non solo pretende di descrivere il mondo, ma anche di governarlo (per altro, abbiamo già parlato in questo blog della necessità semantica di rivedere il significato della parola economia e delle pratiche che essa descrive) e ci racconta come tutto questo abbia potuto accadere.
Riportiamo l’economia con i piedi per terra e usiamola per dare una risposta ai nostri bisogni.
Paola

21 marzo 2011

not in my garden...

Is nuclear the answer?

Sabato 26 aprile 1986 ero al mare, per il ponte festivo che portava i primi turisti sulle spiagge di una primavera calda che faceva pensare ad un'estate precoce. Arrivarono le prima notizie dal reattore di Chernobyl e non sapevo bene che fare ma sentivo che niente sarebbe stato più come prima.
Facevo parte di una generazione cresciuta con la paura della bomba, e mentre ogni giorno che passava era sempre più evidente come la guerra fredda andasse perdendo per manifesta incapacità uno dei suoi due terribili contendenti, il blocco sovietico che di lì a poco si sarebbe sbriciolato, ci restava il terrore che da qualche parte un incontrollabile Dottor Stranamore pigiasse il suo autorevolissimo nonché folle dito sul bottone rosso.
Poi arrivò Chernobyl, e ci disse inequivocabilmente come non esistesse un nucleare buono e una bomba cattiva, ma come i due fossero indissolubilmente legati; come misurare il rischio fosse impossibile, come il nemico fosse così insidioso e invisibile da insinuarsi nelle nostre vita quotidiana, da avvelenare silenziosamente gesti così semplici come godersi il sole primaverile su un prato o mangiare un'insalata appena colta. Chernobyl ci aveva tolta – pensavamo per sempre – l'innocenza della tecnologia che tutto risolve e tutto tiene sotto controllo per il progresso senza fine di un'umanità liberata dal bisogno.
Per la verità già molte voci si erano levate contro questo sogno, così ingannevole, così maschile, di facile dominio di una natura matrigna – e perciò – donna. E molte voci di donne intelligenti e autorevoli si ritrovarono a ragionare con sofferenza e con partecipata intelligenza sulle finalità della scienza, sull'etica della responsabilità e sul limite che quello iato incommensurabile tra finitezza umana e spaventosa potenza della tecnologia imponeva di riconoscere, di accettare, di praticare con coscienza e condivisione. Perché Chernobyl era posto su un confine da cui ci era imposto di guardare oltre, e in quell'oltre si vedevano conseguenze che non si potevano umanamente calcolare, nella loro estensione nello spazio (fin dove sarebbe arrivata la nube?) e nel tempo (per quante generazioni future?). Non so bene perché quella stagione – come altre del femminismo e della politica in questo paese – non abbia prodotto memoria comune di sé, una trasmissione efficace. Su questo non dovremmo smettere di interrogarci. Ma così è stato, e gli anni successivi, che pure avrebbero moltiplicato in molti ambiti il pressante allarme risuonato quel 26 aprile, si sarebbero pure incaricati di risucchiare in una sorta di vuoto dell'esperienza e dell'intelligenza le voci di quel dibattito.
Così, il 18 marzo 2011 mi ritrovo in treno, ad ascoltare involontariamente una (autorevole, sembra, dalle frequentazioni nella capitale...) sconosciuta commentare con stizza col vicino di posto la “rottura di coglioni” del Giappone che ci metterà i bastoni fra le ruote nel realizzare le nostre belle centrali. E che lei – in spregio ai patetici nimby* – una, nel suo giardino, la metterebbe sicuramente...
Come posso spiegarle che i confini del “suo” giardino si sono mostruosamente allargati fino ad inghiottire le vite, la salute e il futuro di interi continenti, di intere generazioni? Dopo Chernobyl, per mettere a tacere chi ci chiamava a ripensare il nostro posto di umani sul pianeta (noi, infinitesima parte del vivente che con la propria mette in discussione la sopravvivenza di innumerevoli altri, vertice pensato come neutro universale, misura di tutte le cose che scopriva la sua parzialità, di genere e di specie) ci hanno detto che non si poteva condannare l'uso dei nucleare buono e benefico sulla base di un incidente dovuto a imperizia (ma quella non fa forse parte della nostra umanità? - mista alla fraudolenta tendenza alla menzogna – per interesse politico o calcolo economico) e alla prevedibile obsolescenza dei vecchi trascurati impianti del gigante sovietico al tramonto. Ma il teatro di questa nuova tragedia non era forse l'efficiente, incorruttibile, ipertecnologico, ricco Giappone? E non ha forse mentito, per puro interesse, la Tepco, società privata che gestisce la centrale, esattamente come mentì quasi 25 anni fa la burocrazia sovietica?
Non nel “mio”giardino, per favore. Non su questo pianeta.

Paola

* Not in my backyard, detto solitamente con spregio di tutti quei movimenti e aggregazioni di cittadini che si attivano contro la costruzione di impianti nocivi nel proprio territorio, accusati, molto spesso a torto, di voler semplicemente spostare il problema un po' più in là dal proprio piccolo particulare.