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8 ottobre 2012

Un'economia "differente" per una buona vita. Immaginare un futuro possibile è cambiare il presente



Imagining the future means to change the present
An alternative economy for a better life – part 3


Completo la serie dei post dedicati alla ricerca Una diversa economia. Storie e vite di donne che praticano alternative allo sviluppo" (qui il primo e il secondo pubblicati precedentemente ).

Nelle testimonianze che ho raccolto, l'esercizio di immaginare un futuro diverso non è materiale per costruire una bella teoria, diventa pratica di vita quotidiana di cui si accettano gli intoppi, gli errori, le fatiche. L'obiettivo è promuovere un cambiamento concreto in cui ciascuno possa riconoscersi e ritrovarsi coi propri ritmi e le proprie priorità, piuttosto che doversi uniformare a un dover essere che non si misura con le singole vite di uomini e donne con tutte le loro contraddizioni. “()  vengono anche persone che vorrebbero, ma che timidamente... si pongono tanti problemi, ci hanno detto che non si può fare... ma si, no, però... No, fallo! Fallo e punto. Poi fallo a misura tua, a misura del tuo territorio, a misura delle esigenze delle persone che vivranno con te, non c'è un modello unico; è questo il punto: la ricetta non esiste, è diverso dal modello dominante anche per questo, perché metodologicamente non è replicabile” (Isabella)
L'orizzonte del cambiamento non è un comandamento ideologico dato una volta per tutte; deve essere conquistato sul campo, sottoposto a infinite e continue verifiche, emerge la consapevolezza che laggravarsi della crisi potrebbe accelerarne i tempi e travolgere la speranza di che esso possa avvenire dolcemente e gradualmente.
Laccento è sulla necessità di cominciare a praticare, qui o ora, la transizione, per poterla davvero immaginare possibile ed esplorare in tutte le sue complesse implicazioni : Però il tema della transizione è il tema centrale, cioè del come facciamo il passaggio e del come, appunto, sostituiamo un modello con l'altro... io... qui si potrebbero prendere a prestito tantissime visioni, ipotesi, dalla biologia all'antropologia, insomma, ci sono tante teorie di come... come cambiano le culture? Come si passano da un sentiero all'altro della storia? Abbiamo mille scuole diverse... per contaminazione? per evoluzione? () C'è un elemento di osmosi, osmotico tra due modelli che convivranno per sempre e in realtà non c'è il tema della sostituzione ma semplicemente di una convivenza e di una lenta riproduzione di qualcos'altro che è già qui e quindi alberga necessariamente nel capitalismo più feroce... è tutto molto... teoricamente sicuramente molto interessante, nella pratica, a cui io mi dedico con più passione, perché poi le cose bisogna cominciare a farle dal basso (Debora)

Il punto di partenza è sempre una profonda insoddisfazione personale e interiore rispetto al proprio lavoro, alla propria vita precedente. Una per tutte dice, semplicemente e lapidariamente: non ero io.  E vero, nel tempo della crisi più feroce può apparire un lusso questa aspirazione ad una autenticità senza compromessi, può avere il sapore di una utopia per pochi privilegiati o di un sogno per ingenui idealisti, ma nelle parole di queste donne è molto chiaro che non è così: cambiare i propri stili di vita non è fuggire dalla realtà, chiamarsi fuori ma è rientrare nel mondo, è proprio rientrare, perché per me la cosa illusoria e folle è vivere a Roma in questo momento, siete pazzi, perché vivete  a Roma? Come vi viene in mente? E' folle, è completamente folle... appunto, vivere a Roma, a Milano, a Londra, a Parigi, pagare un'insalata cinque euro... siete pazzi! Non... è proprio il contrario, infatti il problema è che tutto è ribaltato, è come nella macchinetta fotografica il banco ottico, è tutto visto al  contrario... (Isabella).

Le donne si sentono protagoniste di questo cambiamento, realizzato e possibile, ma con grande lucidità, senza pensare che magari, perché femmine, portatrici di ovaie e di un utero che potenzialmente dà la vita, le donne fossero perché donne capaci di doti magiche, evidentemente, di tutela e cura positiva e salvifica trasformazione. Non è così ed è ovvio. E' terribile, sarebbe tutto più semplice, non saremmo qui, ma non è così () E così allo stesso modo il rischio è di banalizzare e di pensare che le donne in quanto donne siano più propense a conservare in maniera pacifica il benessere e l'equilibrio ambientale è una fantasia, che a volte possiamo cullare quando siamo molto stanche, ma capiamo molto bene che non è così (Monica)
Le donne sono presenti perché non voglio usare degli stereotipi o cose del genere, ma ci sono dei margini per poter proprio sperimentare, vedere dove si può arrivare senza...  libere da fatiche,  fardelli o dal dover comunque corrispondere a una certa idea, a una certa immagine più o meno reale o costruita, qualunque essa sia..” (Paola).
Le donne infine – penso anche dal movimento femminista –hanno imparato che “se vogliamo veramente andare avanti e se vogliamo essere sostenibili nel tempo, il lavoro da fare più forte e importante da fare è su se stessi(Isabella).



Paola




23 marzo 2012

Apocalypse Town. Cronache dalla fine della civiltà urbana

Apocalypse Town: from the United States "Rust Belt"

Oggi un semplice, appassionato invito alla lettura: il bel saggio di Alessandro Coppola Apocalypse Town. Cronache dalla fine della civiltà urbana, Laterza 2012 (non ci risultano siti o edizioni digitali da segnalarvi, quindi godetevi ancora per un po' il tradizionalissimo libretto cartaceo). Va bene, è piuttosto OT rispetto ai nostri interessi principali, e poi è una recensione, però leggetevi lo stesso questo post (e il libro).
Proprio pochi mesi fa pare che per la prima volta nella storia dell'umanità la percentuale di abitanti nei conglomerati urbani abbia superato quella degli abitanti delle campagne. Alessandro Coppola ci accompagna in un viaggio nell'inedito paesaggio della Rust belt, la "cintura della ruggine" delle vecchie città manifatturiere degli Stati Uniti ormai in dismissione perpetua: le fabbriche hanno chiuso, gli abitanti (soprattutto bianchi) sono fuggiti, le case sono state abbandonate, le infrastrutture cadono a pezzi e le municipaltà hanno le casse vuote. Così queste antiche glorie della potenza industriale americana hanno sperimentato una "decrescita" forzosa e spesso drammatica, condita di esclusione sociale, tensione razziale, criminalità, povertà e abbandono che certo le politiche neoliberiste non hanno contribuito a prevenire o mitigare. Non proprio la decrescita più o meno felice di cui da tempo si discute in Europa, e neppure una forma di "Transizione" consapevole e governata, ma, nonostante tutto, e forse proprio per questo, alcuni abitanti e amministratori si sono messi a "cercare fra le pieghe del declino la strada per una vita migliore". Il fatto è che molti sono convinti, più pragmaticamente che ideologicamente, che la crescita non arriverà più: falliti i piani di reisediamento industriale, misera cosa la corsa a fare delle Inner cities attrazioni turistiche più o meno sensazionali (l'unico business che tira, ed è tutto dire, è quello delle carceri in appalto), ormai "il trovarsi ai margini dei grandi flussi dell'economia e della cultura globali" non è più "il problema da risolvere, ma la grande occasione da non sprecare".
Facce diverse ma in qualche modo complementari degli stessi giganteschi processi di spostamento dei flussi globali di merci, persone, denaro, gli slums di Mike Davis e le downtown abbandonate di Coppola ci fanno molto riflettere sulle direzioni inaspettate che il nostro difficile futuro può prendere e ci riconfermano di quanto siano necessarie narrazioni sensate di un presente non disancorato dalla storia per immaginarlo diverso e possibile.

Paola