4 novembre 2012

Lotta di classe nel femminismo. Cosa chiedevamo quando volevamo essere “riconosciute”?

There had been a hidden “class struggle” in the italian feminism?

Una generazione è invecchiata chiedendo il riconoscimento della propria condizione di precarietà;
una generazione è invecchiata invocando “riconoscimento” - spesso a ragione; spesso, con scarsa coscienza di come questo riconoscimento, declinato in termini di riconoscimento di una diversa esperienza storica e generazionale e di capacità intellettuali aveva in realtà a che vedere con un riconoscimento di altra natura; con la dura realtà del mancato accesso di ormai più generazioni a diritti, garanzie, ricchezza e dunque a uno status sociale che ad alcune appariva quasi ovvio e che si rivelava in realtà ormai del tutto impossibile da raggiungere.
Ma la difficoltà a riconoscere la natura di “classe” e materiale del problema è di entrambe le parti; non viene da una parte sola. La cecità e l'occultamento sono state messe in opera - con modalità e motivazioni differenti - da entrambe le parti, da quella che invocava riconoscimento e da quella che avrebbe dovuto concederlo, pensava di averlo fatto e veniva accusata di non averlo fatto affatto.
La realtà è che si trattava di un incontro impossibile, impossibile oggettivamente e anche perché fondato su aspettative dirette nella direzione sbagliata.
Si chiedeva infatti un riconoscimento intellettuale, generazionale, politico a partire dal proprio disagio ma quel che spesso si desiderava davvero, senza riuscire a vederlo fino in fondo, era lo status sociale ed economico della generazione che si aveva di fronte - mentre la storia, il mercato del lavoro andavano in altra direzione. Ci sono voluti vent'anni per arrivare ad ammettere con chiarezza, e prima di tutto a noi stessi, che eravamo, nei confronti delle generazioni precedenti e di altre fasce sociali, impoveriti, proletarizzati e non solo su un piano simbolico, sul piano squisitamente materiale. Quel che volevamo senza saperlo - o sapendolo male - era lo stesso stipendio, le stesse case, gli stessi libri, gli stessi viaggi. Non li avevamo, ma eravamo costretti a chiederli alle nostre famiglie, a far finta di averli o a fare finta che non contassero - né rispetto alla nostra vita privata né rispetto alla nostra produzione intellettuale. Quello che volevamo davvero forse non era che ci dicessero di essere brave (quando lo hanno fatto, quando lo avessero fatto, che cosa sarebbe cambiato?), ma che ce lo riconoscesse il mondo attraverso gli stessi diritti e privilegi che erano naturali per chi ci stava davanti.
Chi stava dall'"altra parte della barricata" faticava ugualmente a vederlo, certo per la difficoltà di percepirsi dalla “parte sbagliata” ma anche per l'assenza di soluzioni concrete al problema: una volta ammesso, cosa avrebbero dovuto fare, pagarci la cena? Quale lotta di classe dopo la fine della lotta di classe avrebbe potuto mai riscattare la nostra condizione?

Paola

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