15 febbraio 2017

Ricordando Anna Rossi Doria

"(...) per scrivere la storia del femminismo degli anni Settanta, occorrerà riuscire a intrecciare, come esso ci aveva insegnato a fare, ragioni e sentimenti" (A. Rossi Doria, Ipotesi per una storia che verrà, in Il femminismo degli anni Settanta, Viella 2005)

8 dicembre 2016

Non una di meno ...

...  per redigere un piano nazionale contro la violenza alle donne.
Intorno a questo obiettivo ambizioso e urgente si sono riunite le migliaia di donne che il 26 novembre scorso hanno animato l'imponente manifestazione (200.000 persone) svoltasi a Roma. Essa ha rappresentato una straordinaria presa di parola, continuata il giorno successivo con un'assemblea plenaria presso la facoltà di psicologia. Un percorso, quello di Non una di meno, che speriamo continui a raccogliere intorno a sé sempre più entusiasmo ed energie.

MGrazia


 

Di seguito proponiamo la  Testimonianza di Maria che ringraziamo per aver condiviso con wedwellinpossibily la sua esperienza.

il percorso Non una di meno lo seguo dal suo nascere e ne faccio parte attivamente, per quel che posso. Alla manifestazione c'ero ed è stato molto intenso ed emozionante partecipare.

L'unica cosa che mi sembra preziosa e interessante da rilevare è il grande sforzo, almeno qui a Roma, di dialogo e collaborazione tra vecchie e nuove "leve". Il problema del passaggio di consegna, della trasmissione del sapere tra generazioni c'è e c'è stato. Molte sono le ragioni (e le responsabilità) che hanno separato e reso difficile la comunicazione e la convivenza tra le femministe storiche e le "giovani". Alcune probabilmente fisiologiche ed inevitabili, altre un po' meno. Il transfemminismo queer per molte "storiche" è un'accozzaglia teorica che neutralizza l'essenza stessa del femminismo mentre per le donne cresciute negli anni 2000 certi assiomi e certo linguaggio non parlano più alla loro vita ed esperienza. 

Ora la diffidenza, la distanza, il sospetto reciproco restano ancora attivi ma il richiamo ad un obiettivo molto concreto, tanto ambizioso quanto necessario (quale il redigere un piano nazionale contro la violenza sulle donne) sta favorendone se non il pieno superamento, quanto meno la sospensione. La semplice ed elementare consapevolezza che tutto questo percorso ha la pretesa di avere ricadute sulla pelle e sulla vite delle donne, promuove un'assunzione di responsabilità che spero faccia crescere e avanzare tutte quante. Per ora molte trappole e buche si sono presentate lungo il percorso ma sono state prontamente evitate. Speriamo duri!

19 luglio 2016

post-it: l'autunno caldo di donne e femministe

Si segnala l'articolo Donne e diritti. Si prepara l'autunno caldo delle femministe di Paola Tavella.

Tante le iniziative, a partire dall'incontro convocato per il 17-18 settembre a Roma e coordinato da Laboratorio Donnae e Resistenza Femministasi discuterà di diritti, diritti negati, violenza e di un'agenda politica femminista condivisa. 
Per partecipare è necessario iscriversi: info e modalità sono reperibili alla pagina http://www.resistenzafemminista.it/incontriamoci-per-unagenda-condivisa/ c'è tempo fino al 31 agosto.

#sivaovunque

1 dicembre 2015

Il dominio sulle donne e la natura

Il 3 e 4 dicembre la rivista "DEP. Deportate Esuli Profughe" ha organizzato a Venezia un convegno in onore di Rachel Carson, iniziatrice con il suo Silent Spring (1961) di una lunga tradizione femminista di riflessione sull'ambiente.


Tra gli ospiti presenti ci sarà Claudia von Werhlof, autrice dell'Età del Boomerang. Contributi alla Teoria critica del patriarcato, che interverrà sull'attualità dell'alchimia come scienza e pratica patriarcale. La discussione verterà sui metodi e le pratiche militari di geo-ingegneria, le politiche e le scelte economiche tese alla loro realizzazione, portando la testimonianze delle iniziative promosse dal "Movimento planetario per la Madre Terra", fondato da von Werhlof nel 2011.


Il programma completo della due giorni veneziana è disponibile qui
Quasi dimenticavo, ci sono anch'io!
MGrazia

28 gennaio 2015

Un atto di rottura epistemologica

"Ma visto che vi amo, miei coraggiosi simili, vi auguro di perdere anche voi il coraggio. Vi auguro di non avere più la forza di ripetere la norma e di fabbricare l’identità, di perdere la fede in quello che dicono i vostri documenti su di voi. E una volta che avrete perso il vostro coraggio, stanchi di gioia, vi auguro di inventare un modo per l’uso del vostro corpo. Proprio perché vi amo, voglio che siate deboli e disprezzabili. Perché è attraverso la fragilità che opera la rivoluzione" (Paul B. Preciado)

http://www.internazionale.it/opinione/beatriz-preciado/2014/11/18/il-coraggio-di-essere-se

                                                                                                                                                        MGrazia

7 luglio 2014

Io prendo gli appunti a matita ....

 Così ho passato buona parte del pomeriggio cercando una citazione nascosta in uno dei quaderni sparsi, in cui accumulo/affastello quanto mi sembra o mi è sembrato interessante.
Annoto tanto e di tutto: argomenti di studio, pensieri a margine di episodi spesso poco significativi, indirizzi di persone di cui non ricordo nulla - neppure perché ho il recapito, la tavola sinottica dei migliori distillati d'Italia (!), i titoli di tutti i libri che ho letto, di quelli che avrei voluto e di quelli che avrei dovuto leggere, i lavori fatti, quelli da fare, le linee guida di progetti di ricerca, alcuni scritti altri rimasti in bozza.
In particolare mi sono accorta di avere annotato quello che avrei voluto dire ma che ho dovuto tenere per me. In quest'ultima pratica mi sono applicata con una certa  convinzione quando militante ho aderito ad un partito politico.
Sarà che il mio era un partito del secolo scorso, ma carica di proposte e ideali com'ero ho fatto fatica a confrontarmi con la paternalista e transgenerazionale "ostilità" dei compagni. Un'ostilità cristallina verso un autonomo pensiero di donna e verso la parola che avrebbe potuto dirlo. Ecco, tacere perché a me/a te in quanto donna si attribuisce un ruolo politico preciso, quello del  "ripetitore consenziente" in pubblico e di "accessorio silente/annuente" nelle riunioni di partito, mi risultava inaccettabile. La scelta si impose, inevitabile: meglio lasciar perdere. Ora però tutto è cambiato.
Stando ai commentatori politici e ad alcune analiste di genere ("femminologhe", mi sbilancio), da qualche mese siamo entrati in un'era nuova, di cambiamento, in cui finalmente è stato riconosciuto un ruolo, anzi, il ruolo delle donne nella società e anche in politica, finalmente! 
Tutto questo cambiamento non sono riuscita a registrarlo. L'indicatore utilizzato è forse il dato quantitativo? Se così è, non è sufficiente. Il numero non basta più ad indicare un progresso, un passo avanti. Non si possono più fare le cose a metà. Quantità e qualità devono andare di pari passo.  
Donne impegnate in ministeri chiave o sedute su poltrone pubbliche importanti dovrebbero portare avanti proposte politiche marcatamente ispirate da riflessioni di genere, questo per provare ad affermare almeno in via di principio politiche rispettose delle diversità. Del resto, il percorso biostorico (l'accezione senza trattino è di Emma Baeri per dire: del corpo desiderante e autocosciente) di ciascuna, che è anche capacità di immaginare percorsi possibili di civiltà e di descrivere iniziative rispettose dei viventi partendo da sé, per l'appunto, solo facendosi "politica" può incidere sul sistema che regola la vita sociale, a tutto vantaggio di quella uguaglianza che si vuole acriticamente neutra e che invece gioverebbe nell'essere più equamente sessuata. 
Ma qui mi fermo, rendendomi conto che "il ripetitore consenziente" non condivide il mio orizzonte di riferimento.
"Quando una donna di partito vi si presenta così, la riconosci subito, sia che indossi il tailleur e i tacchi bassi sia che sfoggi tacchi a spillo e rossetto, è segnata dalla sua corruzione, da quella sicurezza efficiente e da quella falsa dinamicità che vuol copiare l'uomo"  (così Goliarda Sapienza, Lettera aperta, inedito, citato in Giovanna Providenti, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, UME 2010, p. 103). 
La falsa dinamicità non è più necessaria. Non serve copiare l'uomo, poiché nessun uomo sta cedendo il posto o prova a fare spazio a delle donne capaci. Egli sta solo ricollocando utilmente l'oggetto, che a sua volta ciecamente grato non potrà che riconoscere la generosità del capo di turno, l'anziano andromane o lo scout rampante non ha alcuna importanza. Neppure lo stile serve a marcare differenze di parte tanto meno di pensiero: la spuntata tacco 12 è in assoluto il modello più apprezzato, insieme a completi pantalone e giacca. 
A scrivere a matita, si sa, la nota prima o poi sbiadisce. Sta di fatto che quando nella società, nella politica, nel costume la superficialità diventa degrado intellettuale, il femminismo rimane muto, neppure un ricordo lontano. Una perdita grave.
MGrazia



17 marzo 2014

Femminismo, dose (minima) raccomandata: Femministe a parole. Grovigli da districare

 Lea Melandri, Differenza. E le sue aporie, in Femministe a parole, p. 71-77:

"Oggi, saltati i confini tradizionali tra casa e polis, assistiamo a una femminilizzazione dello spazio pubblico, intesa non solo come presenza crescente delle donne, ma come valorizzazione del femminile. Che non significa: delle donne reali. Il corpo, la sessualità, la maternità si emancipano in quanto tali, senza alcun ripensamento critico: si sono liberati di alcuni vincoli, ma non hanno perso i segni che la storia vi ha impresso sopra. Se in passato l'emancipazione è stata "fuga dal femminile", oggi è il femminile a prendersi la sua rivincita. Sono le donne stesse che decidono di impugnare attivamente quelle che sono state le ragioni della loro sottomissione: la seduzione e le doti materne. E' una valorizzazione della differenza che viene dal mercato, dall'industria dello spettacolo, dalla nuova economia (Valore D) - come "risorsa" e "valore aggiunto" -, ma che le donne stesse, e anche parte del femminismo, sono tentate di considerare una opportunità" (p.76-77)
MGrazia


9 febbraio 2014

Una questione di Cittadinanza

La campagna internazionale "One Billion Rising" anche quest'anno per il 14 febbraio chiamerà a raccolta un miliardo di persone. Nel 2013 l'obiettivo fissato dalle organizzatrici era di carattere prettamente culturale: mobilitare donne e uomini contro la violenza sulle donne e le bambine. Quest'anno la posta in gioco è tutta politica e la mobilitazione ha lo scopo di chiedere giustizia: "Fino a quando i governi non chiederanno perdono e faranno ammenda Insieme a capi di stato, mariti, fidanzati, padri, fratelli, preti, mullah, ministri, zii, datori di lavoro, dirigenti d’azienda", recita il manifesto 2014.
Questo passaggio pone, senza lasciare troppo spazio a dubbi, la questione dell'oppressione di un sesso sull'altro, che non riguarda la sfera privata ma investe in pieno quella pubblica e, dunque, mi è sembrato un utile appiglio per ragionare sulla cittadinanza dis-pari delle donne.
"Fino a quando i governi ... non faranno ammenda" ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che la questione della violenza sulle donne è questione politica e deve - dovrebbe - essere affrontata  in idonee sedi istituzionali, non soltanto attraverso leggi di tutela e misure per facilitare le denunce. Si tratta di riconoscere alle donne un diritto di cittadinanza piena, effettiva, stabilendo che la violenza sul corpo delle donne e delle bambine non si limita all'aggressione sessuale, ma che è istituzionalmente perpetrata ogni qualvolta si promulgano leggi tese a limitare la titolarità delle donne sul proprio corpo. 
Esiste infatti una peculiare forma di proprietà privata che le donne hanno sul proprio corpo, sulla propria sessualità, della quale siamo state paradossalmente private: "La piena sovranità procreativa è requisito imprescindibile della cittadinanza femminile" scrive Emma Baeri nel saggio Cittadine in transizione. Spunti di riflessione per una cittadinanza differente (2007).


Per questo mi è parsa interessante e particolarmente evocativa l'iniziativa che il 7 febbraio scorso ha visto protagoniste poco più di 200 donne, le quali si sono recate presso gli uffici di Registro della proprietà di diverse città spagnole per registrare il proprio corpo. Si è trattato di un gesto simbolico, certo, uno dei tanti per manifestare contro il progetto di legge di riforma dell'aborto, in discussione in Spagna, e per chiedere le dimissioni dell'estensore, il ministro della Giustizia Alberto Ruiz Gallardon. Il dato rilevante, tuttavia, è che si è trattato di un atto pubblico: registrare la proprietà del proprio corpo per rivendicare il diritto a decidere. 
"Solo una donna, solo quella donna, sa cosa è giusto o sbagliato fare in questa scena "arcaica" della generazione umana, della quale il suo corpo è soggetto primario, indiscutibile" (Baeri, Cittadine in transizione). 
Seguendo il percorso diacronico della cittadinanza femminile non ci resta che ritornare al 1791, a
quella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina in cui Olympe de Gouges - giocandosi la testa, è il caso di ricordarlo - ha svelato il paradosso di una universalità dei diritti (Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, 1789) che manca della sua attribuzione al genere femminile, riconoscendo alle donne un peculiare diritto di proprietà, quello sul proprio corpo, da cui partire per avanzare la pretesa di un contratto sociale ad esso conforme.


Nell'articolo 12 della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina Olympe scrive: "La garanzia dei diritti della donna e della cittadina implica un più generale interesse comune; questa garanzia deve essere istituita a vantaggio di tutti e non solo per l'interesse privato di coloro ai quali è attribuita". 
A vantaggio di tutti, dunque, Olympe ha codificato "il diritto delle donne ad una differente uguaglianza", che implica "il diritto ad avere garantita la libertà riproduttiva [...], un lavoro equamente retribuito e differentemente organizzato, una rappresentanza politica adeguata ... ".
Per lei, del resto, la questione era già cristallina: "non era il corpo femminile a doversi piegare alla polis, ma la polis a quel corpo, nell'interesse generale(Baeri, Cittadine in transizione).
MGrazia




27 giugno 2013

put on your pink running shoes and go


La solitaria 'traversata' di Wendy Davis per far deragliare la legge anti-aborto nello stato del Texas, di tweet in tweet, è già probabilmente una notizia 'scaduta'
Vale la pena ritornarci per vedere quali i varchi di possibilità che possono aprirsi in una vita. Documentandosi un po' si scopre che la senatrice Davis, figlia di madre single, da venditrice di succhi di frutta è riuscita a 19 anni, a sua volta divorziata e con una figlia, ad entrare all'università per poi essere ammessa alla Law School di Harvard. Sarà ricordata per avere con un discorso di oltre 11 ore evitato che passasse una legge per la limitazione della pratica abortiva in Texas. 
Una prova anche fisica, considerando gli obbighi imposti dal protocollo nel pronunciare un discorso: bisogna stare dritti in piedi, senza appoggiarsi e senza fare pause neppure quella per andare in bagno.
Questa singolare esperienza mi ha fatto pensare che le rivoluzioni in Occidente si fanno altrove non certo qui da noi. Non so proprio immaginarmi alcuna delle nostre deputate o senatrici sobbarcarsi il peso di una campagna ostruzionista (o di civiltà) condotta anche in autonomia per la difesa dei diritti delle donne: tanto ancillare è diventata la presenza delle donne nella politica italiana. Non si spiega diversamente il vuoto di diritti che tocca in particolare le donne e l'autodeterminazione sul nostro corpo. Ripercorrendo rapidamente i post che da questo blog abbiamo dedicato direttamente o indirettamente alla legge sull'aborto - ne abbiamo ricostruito l'iter e, via via, ricordato l'anniversario, la costante messa a rischio, le formule per limitare il danno, nonchè il campo minato in cui le donne italiane si trovano quando oggi, anno 2013, intendano sottoporsi alla ivg (interruzione volontaria di gravidanza) - mi sorge il dubbio che non eravamo, non siamo correttamente equipaggiate.
Forse sarà meglio bandire le birkenstock, già succedute alle gloriose zeppe, per delle più adeguate running shoes in varie sfumature di rosa, 





già iconiche!
 MGrazia