The link between memory and history isn't a Hegelian dialectic process.
Quasi tutto il novecento è stato caratterizzato da un'istanza di rimozione della memoria, istanza che nei regimi totalitari si è espressa in un vero e proprio tentativo di cancellazione oltre che di mistificazione.
Gli ultimi anni del novecento hanno segnato, anche in Italia, una netta inversione di tendenza, tanto che Annette Wieviorka ha definito quella in cui viviamo «era del testimone», concetto che per la storica ha un’accezione ampia che non riguarda solo i sopravvissuti al genocidio nazista degli ebrei d’Europa.
La relazione storia/memoria trascina con sé dei nodi che ancora oggi appaiono insolubili, da qualunque prospettiva li si osservi.
Se, però, provassimo a capovolgere i punti di vista e non ci facessimo condizionare dagli schematismi, considereremmo la memoria e la storia l'una una risorsa per l'altra.
Memoria e storia non sono le due fasi di un processo dialettico in cui la sintesi passa per il superamento del dualismo, un processo di sintesi che, in ogni caso, appare oggi impossibile: la separazione sempre più netta tra le due ha generato una dicotomia che ha finito per ipostatizzarsi.
Per chi ricorda la memoria è la storia dell'evento narrato, in questo senso la memoria è oggettiva.
Nel raccontare il testimone spiega non solo ciò che gli è accaduto, ma spiega l'accaduto; nell'atto di raccontare il punto di vista del singolo è tale solo per chi ha un punto di vista esterno, non per il singolo stesso.
Nel momento in cui lo storico entra in relazione con le memorie piene di vita dei testimoni deve imparare a guardarle come fonti.
Le fonti vanno circoscritte, contestualizzate, analizzate e poste a critica; chi scrive la storia deve interrogare le fonti ed essere disposto a farsi stupire da risposte che non si aspettava; chi scrive la storia deve dar voce alle infinite sfaccettature che assume il silenzio; chi scrive la storia non può scaricare tutta la responsabilità della narrazione sulla fonte, anche se lo fa in buona fede, magari per una forma di rispetto della fonte stessa; chi scrive la storia, in sostanza, deve mettersi in gioco, rischiare.
E' un percorso che sembra ancora più difficoltoso in relazione alla selezione del materiale: il ricercatore vorrebbe avere la possibilità di ascoltare tutte le voci, leggere tutti i racconti, analizzare tutte le memorie, ogni cernita sembra un torto.
Compito dello storico, però, non è quello di correggere il testimone, di mettersi in relazione con la storia del singolo, ma di mettere in relazione le voci dei testimoni.
Come ha scritto Ricœur «c'è un privilegio che non può essere rifiutato alla storia, quello non soltanto di estendere la memoria collettiva al di là di qualsiasi ricordo effettivo, ma di correggere, di criticare, e anche di smentire la memoria… Proprio sul cammino della critica storica, la memoria incontra il senso della giustizia. Che cosa sarebbe una memoria felice che non fosse anche una memoria equa?».
Valentina
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