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14 maggio 2011

La giusta ripartizione delle risorse per la pace tra i popoli – una proposta femminista degli anni Venti

The right allocation of resources for peace between peoples – a feminist proposal of the Twenties.
The public debate does not give space to a reflection on the despair that surrounds us and takes away hope. For this reason I propose a reading of old papers, which surprise by their extraordinary relevance: the economic reform program sponsored by the Women’s International League for Peace and Freedom in 1927.

Il 2 maggio 1927 Lou Bennett, attivista della Women’s Internatioanl League for Peace and Freedom, dichiarava che “l’organizzazione aveva sin dalla sua fondazione (il 1915) realizzato che le politiche economiche nazionali e internazionali erano legate non solo alla pace ma anche alla libertà, e pertanto le politiche economiche esistenti dovevano essere riorganizzate su nuove basi e secondo un nuovo spirito, affinché sia la pace sia la libertà potessero essere costruite su più sicure fondamenta”.
Da queste considerazioni discese un programma di riforma dell’economia mondiale pensato da donne, pacifiste non-violente, ecologiste e femministe. Il programma auspicava l’assunzione del governo internazionale dell’economia da parte di un organismo internazionale per limitare il potere dei trusts e pianificare sia la produzione sia la distribuzione. La direzione internazionale dell’economia, secondo la Wilpf, necessitava di alcune inchieste preliminari tese a determinare l’esatto fabbisogno di viveri di ogni paese, per equilibrare la produzione agricola ed evitare alle popolazioni periodi di carestia e fame; e a stabilire la reale quantità di materie prime necessarie all’industria, per inventariare le risorse naturali e procedere alla loro equa distribuzione, eliminando sprechi e ingiustizie.
I beni alimentari, le fonti energetiche e le materie prime, essendo fondamentali per il progresso della civiltà, necessitavano secondo le wilpfers di particolari tutele da elaborare mediante programmi di internazionalizzazione della ricchezza e la definizione delle condizioni affinché ogni paese potesse accedervi senza restrizioni.
La libera circolazione delle merci doveva andare di pari passo con la giusta distribuzione dei prodotti destinati al benessere umano. L’economia non avrebbe dovuto essere condizionata dall’esistenza di barriere doganali o di tariffe e sovvenzioni statali, utilizzate per regolare il flusso di import/export, ma gli stessi governi nazionali avrebbero dovuto sostenere i costi di un’operazione di apertura dei mercati, destinando ai programmi di internazionalizzazione economica le somme risparmiate con la soppressione del budget di guerra.
Un tale progetto economico risulta conforme al principio dell’interdipendenza. La sua realizzazione, infatti, comportava l’impegno da parte degli Stati ad auto-limitare la propria sovranità nazionale, in nome dell’interesse comune. Richiedeva, inoltre, l’assunzione da parte di una struttura sovra-nazionale del controllo delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto, per migliorare e rendere omogeneo il sistema. Un controllo internazionale ritenuto indispensabile per favorire la riorganizzazione del lavoro su basi di giustizia, obbligando tutti i paesi a riconoscere ai lavoratori gli standard minimi di sicurezza e benessere, non solo quelli economici, ma anche quelli morali ed intellettuali.

Credo di non poter aggiungere altro.
MGrazia

2 aprile 2011

Quale pacifismo e quali culture di pace

What kind of pacifism, what kind of pacifist culture: the feminist silence on the current libyan war.

L’inizio dell’intervento militare in Libia ha trovato il ‘popolo’ pacifista disorientato, determinando pericolose associazioni di idee, con il rischio di rendere nullo qualsiasi onesto tentativo di riflettere sulle cause del conflitto e le ragioni della non-violenza. Pacifisti di lungo corso si sono espressi a sostegno dell’intervento militare, ricordando il grave errore dell’Europa (Società delle nazioni) per non aver appoggiato i repubblicani spagnoli nel 1936; e chi, come Gheddafi, si è visto venir meno il sostegno mostratogli dalla comunità internazionale fino al giorno prima non ha esitato a definire nazista quell’azione. A parte l’anacronismo delle espressioni, pare che il ricorso alle simbologie di inizio Novecento stia accompagnando l’intera vicenda, ma nell’Italia smemorata del 2011 nessuno sembra ricordare che proprio cento anni fa andammo in Libia per soddisfare le nostre esigenze imperialiste. Allora i moti di piazza furono numerosi e molte furono anche le donne che protestarono contro la politica del governo [mi riservo un approfondimento in un altro post].
Oggi 2 aprile in varie piazze italiane e davanti a diversi Cie si sono riuniti gruppi politici e non, femministi e non, sotto lo slogan “il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)”. Ecco un ‘nuovo’ slogan, il cui sound risulta troppo disturbato per poter superare le soglie della bassa propaganda, che nulla comunica a chi si colloca fuori dall’ombra protettrice delle bandiere ideologiche e certo non aiuta né gli insorti e né i migranti.
Quale pacifismo e quali culture di pace, dunque.
Speravo emergessero differenti voci di donne, credevo che la mobilitazione femminile di febbraio avesse lasciato qualche traccia.
In questo silenzio e di fronte ai tristi eventi in cui siamo precipitati solo due cose mi sembra opportuno ricordare, esattamente in quest’ordine:

Costituzione della Repubblica italiana

Art. 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 10
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.
MGrazia